Chiesa di Santa Maria Maddalena
Chiesa di S. Maria Maddalena
La chiesa, che si trova nella
piazza principale, rappresenta il polo d’attrazione su cui orbitò lo sviluppo
del paese a partire dal XVI secolo. In particolare si può notare come la cupola
e il campanile maiolicati verde-ocra, siano sempre fruibili da qualsiasi angolo
del centro storico, creando gradevoli accordi cromatici con l’azzurro del cielo,
le tegole dei tetti, il verde delle montagne. La Chiesa di Santa Maria Maddalena
venne edificata, probabilmente in epoca medievale, sui resti di un’antica
cappella sub-urbana, in origine fuori le mura, sita in un bosco d’olmi tra due
corsi d’acqua. Ampliata e restaurata nel corso dei secoli XVI e XVIII, venne
consacrata nel 1569 3 nel 1757, rispettivamente dopo la prima e la seconda fase
dei lavori. In particolare i rifacimenti settecenteschi, che conferiscono alla
chiesa l’attuale aspetto tardo-barocco, si protrassero anche a ridosso del
secolo XIX. A quell’epoca si devono infatti il completamento del campanile
(1804-’17), la facciata
in stile neoclassico (1841-1844), la maiolica tura policroma della Cupola
e del Campanile
(1862).
Cupola maiolicata
S. Maria Maddalena
Alla storia
della chiesa cinque/seicentesca appartengono il Fonte Battesimale del
1579 (a destra del portale maggiore), completato da un
cappello ligneo del tardo ‘700 e l’Acquasantiera, eseguita forse
dallo stesso lapicida nel 1581. Del 1600 sono i quattro dipinti dell’abside,
raffiguranti Episodi della vita di Santa Maria Maddalena, che
costituivano le ante di un organo. Le tele spettano a Pedro Torres
pittore di cultura fiammingheggiante, autore a Morano delle pale degli altari
maggiori delle chiese del Carmine (1594), di S. Nicola (1598) e di quella di San
Pietro (1602), nonché di un San Diego coi suoi miracoli(1600) proveniente
dalla chiesa di San Bernardino.
Agli inizi del ‘600 risale il soffitto ligneo
cassettonato della sacrestia, eseguito da
maestranze locali e dipinto probabilmente,
secondo l’usanza, nel secolo successivo. Il
manufatto doveva essere abbastanza simile
all’originario intempiato
della navata centrale della chiesa, al centro
del quale verosimilmente trovava posto un
affascinante scultura lignea della Maddalena
(sec. XVII), attualmente sistemata nella navata
sinistra (I altare). Altra statua
raffigurante la titolare è quella collocata
al centro della parete presbiteriale, opera
attribuita a Michelangelo Naccherino
(Firenze 1550 – Napoli 1622) in origine parte
integrante di un altare ligneo intagliato e
dorato andato perso.
Polittico di Bartolomeo Vivarini
‘La
Maddalena’: una Chiesa-Museo.
La ricca
presenza di opere d’arte, molte delle quali
provenienti dalle altre chiese moranesi,
permette di definire la ‘Maddalena’ una sorta di
Chiesa-Museo. Al suo interno, il patrimonio
storico-artistico moranese è documentato in
maniera abbastanza completa, sia
cronologicamente che stilisticamente. Nell’ampia
sacrestia spicca il
Polittico di Bartolomeo Vivarini,
(Murano, 1430 ca – Venezia, post 1491) opera
datata 1477 proveniente dalla chiesa di San
Bernardino, dove in origine campeggiava sotto
l’arco santo ben integrandosi con le notazioni
stilistiche e le atmosfere tardo-gotiche di
quell’edificio. Nello scomparto centrale è
raffigurata la Madonna col Bambino; in
alto il Cristo Passo; ai due lati nei
registri centrali i quattro santi protettori
dell’Ordine Francescano: San Francesco
d’Assisi e San Bernardino da Siena; Sant’Antonio
da Padova e San Ludovico di Tolosa. Nel
pilastrino destro: San Gerolamo,
Sant’Agostino, Santa Chiara d’Assisi; in
quello sinistro: San Giovanni Battista, San
Nicola, Santa Caterina d’Alessandria. Nella
predella Cristo tra i dodici apostoli. Il
polittico di Morano, assieme ad altro
Trittico (1480) della chiesa di San
Giorgio a Zumpano (Cosenza), rappresentano
le uniche opere del venete Vivarini custodite in
Calabria. L’opera di Morano giunse in Calabria
probabilmente grazie alla munificenza dei
Sanseverino di Bisignano, signori di Morano e
fondatori della Chiesa di San Bernardino da
Siena, particolarmente legati da sentimenti di
devozione al Santo francescano e agli
Osservanti. Risultato di una committenza
congiunta, l’opera vivariniana deve
verosimilmente la sua pianificazione
iconografica ai francescani di Morano; mentre,
nell’ambito della stessa commissione, altro
ruolo importante dovette spettare a Rutilio
Zeno, vescovo umanista legato ai Sanseverino,
dai quali ricevette anche l’incarico di
consacrare la chiesa di San Bernardino nel 1485.
Il prelato, inn viaggio verso l’Ungheria
nel1475, al seguito della corte aragonese,
avrebbe potuto ammirare nelle regioni di
passaggio (Veneto – Istria – Dalmazia) altri
polittici vivariniani e quindi pensarne uno per
Morano. Non è da escludere infine che gli stessi
Osservanti di Morano, come del resto i
Sanseverino, siano stati influenzati, in questa
scelta artistica, dalla presenza in Puglia dei
Polittici di Bartolomeo Vivarini e del fratello
Antonio (1418 ca – 1476 – ’84) pervenuti nella
Regione a partire dagli anni ’50 del
Quattrocento, molti dei quali tuttora si
conservano nelle chiese francescane pugliesi.
Madonna degli Angeli - Antonello Gagini
Altra opera
di provenienza bernardiniana custodita ‘alla Maddalena’ è la
Madonna degli Angeli
(1505), raffigurante la protettrice dei francescani. Sistemata nel transetto
destro dal 1840, la statua in marmo bianco spetta al siciliano Antonello
Gagini
(1478 – 1536), uno dei maggiori scultori del Rinascimento meridionale. Dal
diruto convento agostiniano di Colloreto proviene invece, la Madonna del Reto
(nel transetto sinistro), rappresentante la titolare della stessa chiesa
agostiniana, trasportata inizialmente in S. Bernardino (1752) e denominata
Madonna della Candelora, solo in seguito al trasferimento alla Maddalena
(1840). La statua è opera dello scultore meridionale d’ambito siciliano della
fine del secolo XVI. Ancora di provenienza colloretana sono le statue di S.
Agostino e S. Monica e il fastigio marmoreo (secolo XVII) in
cui sono collocate, ai lati della Maddalena. Gli altari in marmo, per lo più di
fattura napoletana, risalgono all’epoca dei rinnovamenti
decorativo-architettonici che interessarono la chiesa a partire dagli anni ’50
del ‘700. Gli stessi decoravano una serie di cappellanie, quasi tutte di
proprietà delle famiglie dei canonici della stessa chiesa, ad eccezione dell’altare
maggiore che venne donato dalla casa Spinelli.
Attualmente la
chiesa presenta un aspetto tardo-barocco, conferito all’interno da monocromi
motivi ornamentali a stucco, vibranti e vivificanti le pareti della volta, del
transetto, dell’abside: una sorta di merlettatura, illuminata da una luce
avvolgente, che penetra all’interno dai grandi finestroni. Le decorazioni
parietali di devono a Donato Sarnicola, stuccatore che forse collaborò
anche al progetto della chiesa moranese, oltre ad essere conosciuto per altri
simili lavori a Saracena e a Corigliano.
Alla stessa
fase di rinnovamento dell’interno della Chiesa, in chiave tardo-barocca,
risalgono anche gli arredi lignei che si devono alla
bottega dei Fusco, intagliatori di origine napoletana, ma di adozione
moranese ed esponenti di spicco della “scuola” dell’intaglio ligneo locale. I
Fusco sono autori della Sedia presbiteriale (1757), del Coro (1786
– 1795), del Leggio (1797), del Pulpito, degli Stipi della
sacrestia e dei lavori di alta ebanisteria che si ammirano nelle altre
chiese moranesi. Nei manufatti gli artieri dimostrano piena padronanza di un
repertorio stilistico aggiornato sui modelli del moderno rococò europeo. Nel
corso dello stesso secolo XVIII, si arricchì particolarmente anche il patrimonio
pittorico della chiesa, grazie all’arrivo di una serie di tele commissionate
probabilmente già pronte a Napoli. Ben rappresentata nella chiesa è la
produzione dei Sarnelli, una sorta di ‘bottega familiare’ (attiva a
Napoli nella seconda metà del Settecento), che firma l’Incoronazione della
Vergine e i Santi Gerolamo e Nicola di Bari (1747; II altare a sinistra) e
il Miracolo di San Francesco di Sales (1747). A questa bottega si
attribuiscono la Madonna del Rosario fra i Santi Domenico, Caterina da Siena,
Pietro Martire, Rosa da Lima e Maria Maddalena (IV altare, navata sinistra)
e la Santa Teresa d’Avila (crociera destra), la Predica di San
Francesco Saverio e l’Apparizione di San Vincenzo Ferrer (crociera
sinistra).
Eccezionale
espressione della pittura partenopea del Settecento è la Morte di San
Giuseppe, pala del IV altare destro. L’opera è datata 1742 ed è firmata da
Giuseppe Tamajoli (documentato a Napoli dal 1730 al 1772), discepolo di
Francesco Solimena (1657 – 1747). Dal dipinto emerge una grande capacità di
sintetizzare aspetti monumentali della composizione e grandiosità dei
personaggi, con la descrizione minuta e compiaciuta dei particolari della
realtà, come si può notare nel bellissimo brano di natura morta, a sinistra
nella parte bassa del dipinto. Di pregevoli qualità sono anche le tele di
Francesco Lopez, altro pittore di cultura napoletana conosciuto grazie a
tre opere moranesi, delle quali due sono firmate e datate 1747 (Immacolata
della sacrestia) e 1748 (l’Addolorata, San Giovanni Battista e Santi,
del III altare della navata sinistra), mentre l’altra, il San Michele
Arcangelo (in sacrestia) è di recente attribuzione. Nella stessa sacrestia
non sfugge per le elevate qualità formali, il Martirio di San Gennaro
opera sempre del quinto decennio del XVIII secolo eseguita da pittore
solimenesco.
S. Maria Maddalena