Convento dei Padri Cappuccini
Costruito fuori dall’abitato tra il 1590 e il
1606, il Convento venne chiuso nel 1809 in seguito alla soppressione degli
Ordini religiosi, attuata nel “decennio francese” (1806 – 1815). Una prima
rinascita del cenobio si deve a Ferdinando II di Borbone, che avviò i lavori di
ripristino dal 1852 al 1855; un nuovo periodo di chiusura tra il 1866 e il 1874
si concluse definitivamente nel 1881. Attualmente il convento è sede di
noviziato.
Per immergersi nel silenzio di un’atmosfera
claustrale, che cela ancora il vivo operare e la preghiera dei numerosi frati, è
consigliabile una visita all’austero chiostro seicentesco con cisterna centrale
e porticato, sul quale si sviluppa il complesso conventuale.
All’interno della chiesa, preziosa testimonianza
dell’intaglio del XVIII secolo è l’altare maggiore in legno scolpito e
intarsiato. Al centro campeggia la tela raffigurante San Francesco
d’Assisi che offre il cuore alla Madonna col Bambino opera di
Ippolito Borghese. Il pittore, di origine umbra (documentato dal 1601 al
1627), giunto a Napoli forse nel 1590, è uno dei più raffinati esponenti del
“tardo – manierismo” e del primo naturalismo napoletano, oltre ad essere autore
particolarmente operoso per l’Ordine Cappuccino calabrese. Nell’ovale centrale
che sormonta l’altare della Chiesa di Morano, si nota la figura del Padre
Eterno; nelle due cimase laterali, i particolari di un’Annunciazione.
Altri pregevoli altari in legno, oltre quello
maggiore, tutti di gusto barocco, intagliati e torniti, impreziosiscono in
maniera singolare e fastosa la semplice architettura della chiesa. Tra questi
interessantissimi lavori d’Arte Cappuccina del secolo XVIII, notevole è pure il
Ciborio dell’altare maggiore, finemente lavorato ad intaglio, tarsie in
madreperla e colonne tortili. L’opera si inserisce nella tipologia dei cibori
diffusi nelle chiese cappuccine calabresi, sia per la perizia dell’esecuzione,
che per il valore coloristico affidato all’essenza del legno e all’accostamento
di materiali diversi.
Da segnalare è pure la statua dell’Addolorata,
opera, datata 1704, di
Giacomo Colombo, scultore attivo a Napoli fino al 1730.
Tra le commissioni di fine secolo rientrano
invece una serie di paliotti: oltre il ‘ciclo’ su cuoio reperito
nell’Oratorio del Carmine, assegnato a “maestri cuoiai e pittori veneti”, si
ammira il paliotto in scagliola
dell’altare maggiore, che presenta l’influsso sia di stuccatori locali
itineranti, che di maestranze cappuccine. Il simbolismo, celato nei motivi
ornamentali del manufatto, rimanda comunque a tematiche preferite dall’Ordine
Cappuccino: le sette palme racchiuse nello stemma centrale sono infatti
un chiaro riferimento ai Sette martiri francescani calabresi decapitati, nel
1227 in Marocco, a Ceuta; mentre l’allegoria espressa dai pavoni è quella
dell’immortalità e della Resurrezione di Cristo.