Chiesa di Santa Maria del Carmine
In prossimità della chiesa
della Maddalena e adiacente alla sede municipale, si trova la cappella che
apparteneva in origine alla Confraternita del Carmine. L’Associazione era dedita
alla cura di uno ‘xenodochio’, antico “Ospedale degli infermi e dei poveri
pellegrini”. L’ospedale, fondato tra il 1568 e il 1570, aveva sede nell’edificio
che, dal 1863, ospita l’attuale municipio.
Al 1594 risale
la
pala dell’altare maggiore, opera di prestigio della chiesa, eseguita da
Pedro Torres. La tela, raffigurante la Madonna col bambino tra San
Francesco di Paolo e Santa Lucia, rappresenta, in ordine temporale, anche la
prima delle commissioni moranesi richieste al Torres. Le opere del pittore di
cultura fiammingheggiante (attivo a Napoli dal 1591 al 1603), molto gradite alla
committenza locale, si ammirano infatti tuttora nelle principali chiese moranesi.
La pala del Carmine, che è poi anche l’unica che abbia mantenuto nel
tempo la collocazione originaria, risulta particolarmente enfatizzata dai grandi
motivi antropomorfi della cornice lignea intagliata e dorata, opera di artieri
locali del 1652.
La
decorazione parietale a
stucchi eleganti e leggeri che incornicia, negli ovali, il ciclo pittorico
mariano della cappella, risale al 1784.
Parte del
ciclo è pure l’Incoronazione della Vergine (1795 c.), attribuita a
Cristofaro Santanna, nel presbiterio sopra l’altare maggiore. Stimato
pittore calabrese nativo di Rende (1735 c. – 1805), il Santanna data e firma a
Morano l’Ultima Cena (1785), nella volta del coro della vicina Chiesa
della Maddalena. Sul finire del secolo l’autore esegue l’intero ciclo che
probabilmente decorava l’Oratorio del Carmine: un ciclo disperso, sostituito da
quello attuale e riproposto in seguito, con gli stessi soggetti, da modesti
pittori locali tra il 1828 e il 1880. Al di sopra della cantoria, si ammira l’organo
eseguito in parte in loco, datato 1732 e firmato da un certo
Gennaro Cociniello. Il rimanente arredo ligneo della chiesa (balaustra,
sedia priorale,
stipi delle statue), databile ai primi decenni dell’Ottocento, rientra
invece nella produzione ‘alla Fusco’, ripresa poi da quella dei
Frunzi.
La Cappella
del Carmine ha ospitato l’allestimento di
Memorie Riscoperte (Mostra di Opere d’Arte Restaurate dalle Chiese di
Morano, Luglio 1995 – Febbraio 1997) iniziativa che ha permesso l’importante
recupero di una coppia di
paliotti su cuoio.
I paramenti,
parte di un ciclo di sei, pervennero alla Chiesa del Carmine da quella dei
Cappuccini, probabilmente nel corso delle soppressioni monastiche d’epoca
napoleonica (1809). I preziosi manufatti, che rivestivano la parte antistante
degli altari o ‘antependium’, sono incisi con punzoni, dorati a ‘mecca’,
argentati ‘a foglia’, decorati da motivi floreali (“rose aperte a bocciolo, rose
canine, peonie, tulipani, garofani, campanule, fresie, verbene, vilucchi,
ranuncoli, gelsomini”) e da medaglioni figuranti, dipinti con lacche ad olio.
Interessantissima l’attribuzione: reggono infatti confronti stilistici con
simili opere veneziane di fine secolo XVIII di
Francesco Guardi (Venezia, 1712 – 1793) o, tutt’al più, con quelle del
bellunese
Antonio de’ Bittio (1722 – 1797) suo alter ego.